Il Nome

Sibilla: cantare sulle orme di un mito

Quando nell’ottobre 1976  il Coro Sibilla fu costituito, il nome era già pronto da tempo, almeno da quando una quindicina di anni prima s’era già tentato di dar vita ad un coro di montagna a Macerata: si era identificata già allora nel nome “Sibilla” una ragione sociale appropriata e rappresentativa delle motivazioni da cui scaturiva la volontà di cantare insieme.     
Il Sibilla è il monte da cui prende nome la catena dei Sibillini, i monti che segnano inconfondibilmente l’orizzonte sud-occidentale di Macerata ergendosi con imponenza sul circostante paesaggio collinare; i monti più familiari ai maceratesi, frequentati abitualmente dagli appassionati della montagna: un nome dunque con una sicura valenza identificativa, in grado di indicare con immediatezza il territorio di appartenenza del coro.
Ma il senso e la forza evocativa del nome “Sibilla” non risiedono solo in questo; in esso si condensano fattori culturali e processi storici che attengono a molteplici e non secondari aspetti della nostra cultura, tanto che la storica Ileana Chirassi parla della Sibilla come di “personaggio chiave dell’immaginario europeo”.
E tra i diversi aspetti a cui è legato l’antico mito della Sibilla Appenninica ci sono anche la natura e la funzione del canto.

Il monte Sibilla (m. 2173) è circondato fin dall’antichità da un alone di mistero quale regno incantato della Sibilla Appenninica che il mito fa risiedere proprio sulla sua sommità, caratterizzata da una “corona” di rocce, in una grotta poco al di sotto della vetta sul digradante versante meridionale, a 2150 metri di altitudine.

Nei secoli è stato meta di filosofi, alchimisti, astrologi spinti dall’ansia di superare i limiti della loro scienza; ha intrigato, tra gli altri, scrittori come Andrea da Barberino, Antoine De La Sale, Ludovico Ariosto; è stato teatro di innumerevoli leggende legate alle diverse forme assunte dal mito della Sibilla Appenninica nelle varie epoche: divinità della natura e della fertilità nel mondo pagano, oracolo in epoca romana, profetessa ribelle e dannata nei primi secoli dell’era cristiana, e poi nel medioevo maga, strega, dama della montagna.

Pianta della grotta della Sibilla
Pianta della grotta della Sibilla. La più antica pianta topografica della “Grotta della Sibilla” (oggi impenetrabile) risale al 1420 e fu disegnata da Antoine de la Sale; è conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

E’ su questo monte che Andrea da Barberino (1370-1431) ambientò il romanzo cavalleresco Guerin Meschino; ed a questo luogo si ispirò la leggenda tedesca del Tannhäuser, messa in musica da Richard Wagner riproducendo nel Venusburg (monte e regno sotterraneo di Venere) aspetti e credenze riconducibili proprio al monte e al mito della Sibilla Appenninica.
La più antica pianta topografica della “grotta della Sibilla” (oggi impenetrabile) risale al 1420 e fu disegnata da Antoine de la Sale; conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi, essa descrive un ampio spazio circolare con sedili di pietra scavati tutt’intorno nella roccia.

L'ingresso della Grotta della Sibilla come si presenta
L’ingresso della Grotta della Sibilla come si presenta

Sotto la complessità del mito della Sibilla Appenninica si individuano i tratti essenziali del processo storico attraverso cui il nostro territorio ha formato la sua identità e ha costruito le sue potenzialità; si riconosce l’influsso di culture della più svariata provenienza, che fa del suo passato un peculiare fattore di modernità; si vedono le tracce della ricerca di orizzonti nuovi, di mondi inesplorati, verso le lontane distese propizie ai pascoli come verso i meandri sotterranei dei monti eretti a sede dei misteri più inesplicabili; si manifesta l’attrazione per la montagna considerata, più che ambiente di vita o scenario naturale, protagonista amata e temuta in un rapporto esistenziale profondo.
E si rinvengono le forme della presenza del canto nella vita e nell’immaginario dei nostri avi.

Adolfo De Carolis, La Sibilla Appenninica
Adolfo De Carolis, La Sibilla Appenninica

Ai due filoni variamente intrecciati attraverso cui il mito della Sibilla Appenninica è arrivato fino a noi (quello propriamente letterario, che la vuole maliarda seducente e malefica, e quello popolare, che la ricorda fata gentile e benefica) corrispondono anche due diverse funzioni attribuite al canto: l’una legata agli incantesimi e alle loro suggestioni, l’altra più ancorata alla socialità, alla ricerca di comunicazione e condivisione.
Andrea da Barberino (sec.XV) racconta come la Sibilla voleva che il percorso di Guerin Meschino e di altri cavalieri oltre la soglia incantata fosse accompagnato da canti inebrianti e lusinghevoli.
Più vicino a noi, il poeta dialettale sarnanese Enrico Ricciardi (prima metà del ‘900) nel descrivere l’azione benefica svolta dalla fata verso le popolazioni locali, sottolinea che

se divirtìa a ‘mparà a sonà e cantà *
mentre  
nzengava a lègge, a scrie, a fa li cundi **

E’ tra queste due visioni opposte del canto, quella ammaliatrice e quella pedagogica, ambedue nitidamente presenti nel mito della Sibilla Appenninica, che si è sviluppata nel corso dei secoli la ricchissima gamma di funzioni e di significati che alimenta in forme sempre nuove e diverse la voglia e il piacere di cantare insieme.

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*  si divertiva a insegnare a suonare e cantare
**  insegnava a leggere, a scrivere, a fare i conti

Nazzareno Gaspari